lunedì 21 aprile 2008

La sconfitta dei radical

La peggior campagna elettorale degli ultimi trent’anni porta in dote una maggioranza salda (almeno numericamente) e un’opposizione lacerata molto più di quanto non voglia ammettere. Il problema della sinistra è sempre la cronica presunzione che, il giorno dopo una roboante sconfitta, non la porta ad interrogarsi sugli errori commessi, ma su come sia possibile che gli Italiani (questi stolti) abbiano ancora una volta preferito Berlusconi. E la Lega, vera vincitrice della tornata di questo strano aprile 2008. Il partito di Bossi e il suo successo sono figli di un radicamento sul territorio solido, fatto di comizi alla vecchia maniera. Stavolta nemmeno la scusa (per altro patetica anche in passato) delle televisioni regge. Bossi è andato nel piccolo schermo meno persino dell’ex pm Antonio Di Pietro, un altro che ha raccolto un ottimo risultato. La gente vuole uno Stato più forte, meno rigido burocraticamente, con meno tasse da pagare e più severità con delinquenti e immigrati. Il problema non è chi viene in Italia, ma come noi Italiani ci poniamo nei loro confronti. Queste elezioni hanno evidenziato che serve il pugno di ferro. Le regole ci sono, vanno rispettate. Senza sconti. Abolire la Gozzini, non stanziare nemmeno un centesimo per i campi rom e soprattutto garantire la certezza della pena sono le richieste più urgenti di questo Paese. Stanco di promesse e di buonismo. Se questa maggioranza riuscirà o meno a realizzare ciò che ha promesso solo il tempo potrà stabilirlo. Per adesso, di certo c’è solo la sconfitta dei buoni sentimenti, dei radical chic con la laurea, la Mercedes e la convinzione che il relativismo culturale e il ’68 sono punti sui quali non si può discutere. Una sconfitta destinata a diventare decennale, soprattutto se l’attuale maggioranza riuscirà a trasformare il nostro Paese in una nazione sicura. Per le persone oneste.

martedì 8 aprile 2008

La campagna inutile

Una campagna elettorale così piatta non si vedeva da anni. Forse nemmeno durante la guerra fredda, quando, a causa del cosiddetto fattore k, non era in discussione chi avrebbe vinto ma con che margine e quanto sarebbero riusciti a portar a casa gli alleati. I ultimi sondaggi parlano di un certo margine a favore di un candidato. Dai sette ai dieci punti percentuali. Dati incoraggianti, ma forse non decisivi. Perché se alla Camera il discorso sembra essere chiuso da tempo, al Senato, dove il premio di maggioranza viene assegnato su base regionale, i calcoli sono più difficili da effettuare. Dieci, quindici senatori di differenza potranno bastare a governare il Paese ma non certo a fare quelle riforme indispensabili per garantire un futuro ai giovani. Argomento centrale, in assoluto il più importante, assai più determinante delle pensioni, della giustizia e della tassazione degli straordinari. Perché sono i giovani che muovono l’economia di un Paese. I grandi assenti di questa campagna elettorale. Se ne parla poco e a sproposito. Soprattutto da parte degli unici due candidati che abbiano reali e concrete possibilità di vincere. Perché, se nel programma del Pd si ricorda come “non è possibile garantire stabilità ai singoli posti di lavoro, ma si può garantire continuità all’occupazione”, in quello del Pdl si sottolinea come sia indispensabile approvare “norme e regolamenti pubblici che attivino la mobilità sociale per stimolare l'utilizzo delle energie umane potenziali, moltiplicare le opportunità e sfuggire al precariato”. Nessuno ricorda come sia stato tradito lo spirito della legge Biagi. Che non va abolita, pena il ritorno massiccio al nero. Ma va regolamentata. Anzi, va applicata. Il contratto a progetto va pagato più quello a tempo indeterminato, perché dà meno garanzie. E non può essere rinnovato più di due volte. Fin quando questo tema non sarà il Tema, non ci si può sorprendere che i guardino ai politici come ad una casta inutile e dannosa.